Dal successo al Country alla finale degli Australian Open, la “nuova” vita di Danielle Collins

I palermitani l’hanno conosciuta (ed apprezzata) lo scorso anno al Country: ha rispettato l’impegno partecipando al Torneo ed ha rispettato la classifica che la vedeva favorita, trionfando per la prima volta in un “vero” torneo della WTA. Vero perché fino allo scorso mese di luglio, l’unico successo nel circuito di Danielle era stato “solo” in un 125 a Newport Beach nel 2018.

Proprio nel momento in cui sembrava avviata ad una brillante carriera, l’americana aveva dovuto combattere e sconfiggere un avversario subdolo, un malessere strisciante e, inizialmente, difficile da identificare. La prima diagnosi fu di artride reumatoide, poi si scoprì che Danielle soffriva di endometriosi.

La due volte campionessa universitaria statunitense (ha vinto il campionato NCAA nel 2014 e nel 2016) non si è persa d’animo ed ha ripreso a giocare con la caparbietà di chi sa che, prima o poi, arriva il momento della gloria. Dopo un intervento chirurgico nell’aprile dello scorso anno, la svolta: vince il WTA 250 del Country (in finale contro la rumena Elena-Gabriela Ruse) e poi trionfa al WTA 500 di San Josè in California, entrando per la prima volta tra le prime 30 giocatrici al mondo.

Il “capolavoro” è, però, recente e cioè di questi giorni. La Collins, accreditata della testa di serie n. 27 del Torneo, mette in fila agli Australian Open: Dolehide, Konjiuh, Tauson, Mertens, Cornet e, in semifinale, la campionessa del Roland Garros, Iga Swiatek, guadagnandosi la decima posizione nel ranking mondiale (che sarà “certificata” lunedì quando sarà pubblicata la nuova classifica della WTA).

Domani, nell’ultimo atto del Torneo, si troverà di fronte un ostacolo apparentemente insormontabile: la n. 1 al mondo, Ashleigh Barty, che avrà gli occhi addosso di tutta l’Australia che da 43 anni aspetta il successo di una giocatrice di casa. L’ultima fu nel 1978 Chris O’Neal (senza essere testa di serie).

Per Danielle il compito sembra proibitivo contro una Barty “ingiocabile”, ma la statunitense è abituata a  lottare nella vita anche contro “avversari” più difficili ed ostici.